Riflessioni su quella strana difficoltà di mettersi in primo piano.
Io, invece, faccio fatica a mettermi in primo piano, da sempre!
Ma non perché non mi veda, perché dentro di me, ci sono già.
Non ho bisogno di occupare spazio per sentirmi viva.
Non ho bisogno di raccontarmi a voce alta per sapere chi sono.
Eppure, ogni tanto, mi chiedo: perché mi viene così difficile dire “io” davanti agli altri?
Forse perché per anni, troppi, ho imparato a non disturbare, a fare la brava bimba, a non chiedere troppo, a non brillare troppo.
Forse perché ho visto che chi si mette davanti, spesso viene giudicato.
Forse perché ho capito che la vera forza non ha bisogno di palco.
Eppure, scrivere è un modo per uscire dal silenzio senza urlare.
È un modo per dire “ci sono” senza invadere.
È un modo per mettere me stessa al centro, ma con grazia.
Ieri ero a messa per la prima comunione del figlio della compagna di mio figlio. Pur essendo buddista, ci sono andata comunque. Un gesto per amore, per rispetto, per presenza.
Il Vangelo letto parlava del Fariseo e del Pubblicano. Il passo del vangelo chiude con: perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
Il prete, nell'omelia ha detto: “Non bisogna mai mettere l’io davanti a tutti. Bisogna coltivare l'umiltà.”
E io allora ho pensato:
“Io non lo metto davanti. Ma non voglio nemmeno lasciarlo indietro. Quale "peccato" può esserci nella consapevolezza di sé?”
Perché secondo me non è superbia riconoscersi per quello che si è.
È cura. È dignità. È verità.
E allora oggi scrivo.
Non per essere letta.
Ma per ricordarmi che ci sono.
Che posso camminare a fianco degli altri, senza nascondermi.
Che posso dire “io” senza vergogna.
Perché quell’“io” non è un grido.
È una presenza gentile...
E se capita qualcuno che mi guarda come il fariseo guardava il pubblicano, io sorrido. Perché so che la grazia non sta nel giudizio, ma nella sincerità del cuore.
