Si dice che attiriamo ciò che siamo. Ciò che voglio scrivere non è una critica, non è un giudizio. È solo una riflessione che nasce dall’osservazione.
A guardare bene, il mondo sembra attratto soprattutto da ciò che fa rumore: scandali, rabbia, conflitti, polemiche. E non sto dicendo che chi ne è attratto sia “cattivo” o “sbagliato”. Semplicemente, credo che ci raggiunga ciò che risuona con ciò che siamo... o con ciò che stiamo vivendo.
E allora mi chiedo: che cosa ci dice questo del nostro tempo? Perché la rabbia, la cattiveria e il disprezzo fanno così notizia, mentre l’amore, la compassione, la consapevolezza… sembrano sentimenti che nessuno vuole più provare?
Io però, tanti anni fa, in mezzo a questo rumore, ho trovato un luogo che parla sottovoce. Si chiama Samgha, ed è lì che vive Maestro Chen, insieme alle sue guide.
Un luogo che non cerca di convincere, ma di accogliere. Un luogo dove il tempo rallenta, e lo spirito respira. Ed è lì che ho incontrato Sara. Una ragazza luminosa, profonda, vera. Ci siamo riconosciute nel silenzio e nella ricerca
Devi sapere che in quel luogo, nessuno è più importante dell’altro. Tutti sono in cammino. Tutti stanno imparando a restare.
Ma Sara ha scelto di lasciarlo, quel cammino. E non certo per debolezza, per carità. Anzi, la sua scelta è stata lucida, coraggiosa, rispettosa di sé.
Perché Samgha è un cammino duro. Non è per tutti. Richiede verità, presenza, rinuncia. E a volte, la scelta più saggia è quella di ascoltarsi e andare altrove.
Io la onoro per questo. Perché ci vuole forza anche per dire “non è il mio tempo”. Ci vuole amore per sé stessi per non forzare ciò che non risuona più.
Di lei ricordo una ragazza alta, riccia, con gli occhi pieni di curiosità. Una curiosità viva, che cercava risposte nel silenzio. Ma ho intuito subito una certa fragilità. Non una debolezza, no. Una fragilità sacra, quella che appartiene a chi sente troppo, a chi si espone davvero.
E proprio per questo, il cammino di Samgha può diventare duro. Perché se lo spirito non è pronto, ogni passo pesa.
Sara ha scelto di lasciare. E io rispetto profondamente quella scelta. Perché anche andarsene può essere un atto di amore.
Un atto di ascolto.
Un atto di verità.
Ed è questo che mi porta a quella riflessione: il mondo è fragile, e forse siamo tutti un po’ persi. Travolti da questo rumore che non ci lascia il tempo di pensare. E poi, quando tutto tace… non sappiamo più cosa farcene del silenzio.
Ecco perché siamo tanto attratti dal rumore. Perché ci piace discutere. Perché ci piace arrabbiarci. Perché ci piace urlare. Urlare disprezzo, urlare rabbia, urlare, urlare, urlare.
Dio, è tutto così strano... quando sarebbe così semplice: lasciare andare, lasciar perdere. Vivere. E lasciar vivere.
Invece no. Io per prima, lo ammetto, mi incaponisco. A rispondere, a spiegare, a sbraitare, a fare. Quando invece, forse, abbiamo solo bisogno di una cosa: un po' di pace.
Mi piacerebbe che la gente ritrovasse il silenzio. Che lo sentisse risuonare dentro. Che lo ascoltasse come si ascolta una verità dimenticata. Per tornare ad essere più autentici. Più umani. Più presenti.
Ma forse… forse il mondo non è ancora pronto. O forse sì. E sta solo aspettando che qualcuno resti.
In silenzio.
In pace.
In verità.