Ho appena finito di vedere il documentario su Elize Matsunaga e faccio davvero fatica a non emettere un giudizio. Non tanto per il crimine in sé la, che è già di una gravità estrema, ma per il modo in cui viene raccontato. E quello che mi ha disturbato più di tutto è sentirla ripetere, come un mantra, “ho fatto un errore”. Un errore? Dici che hai fatto un errore?? Non hai sbagliato autobus. Non hai messo il sale al posto dello zucchero. Non hai dimenticato la porta di casa aperta... hai ucciso tuo marito! E anche se fosse stato per legittima difesa, non lo smembri e non lo distribuisci in mezzo ai boschi. C’è un limite tra l’umano e l’inumano, e lei lo ha superato.
Il documentario sembra quasi costruito da lei stessa. Dice di non volere attenzione, ma poi si concede interviste, si mostra mentre prega, piange, si fa il segno della croce davanti alle telecamere. (In quelle scene ho dovuto distogliere lo sguardo, mi faceva troppo schifo) Vuoi o non vuoi attenzione? Perché se non la vuoi, non partecipi a un progetto che ti mette al centro. E quel suo modo melenso di parlare, quel pianto calibrato, quel tono da vittima spirituale… mi ha fatto salire un nervoso che non riesco a spiegare.
E poi quella frase: “Se fossi stata una domestica, se fossi stata un uomo nero…” detta da lei, in quel contesto, è disgustosa. Non perché il tema del razzismo non sia reale, ma perché usarlo come scudo per distogliere l’attenzione dal proprio crimine è manipolazione pura. E sì, è proprio questo che ho visto nei suoi occhi, anche attraverso lo schermo: una manipolatrice.
Mi dispiace per il suo passato, per gli abusi che ha subito. Ma questo non la giustifica. E ancor meno giustifica il modo in cui ha trattato il corpo di un uomo che diceva di amare. Un uomo con i suoi difetti, certo, ma che è stato colpevolizzato anche da chi doveva raccontare la verità. Ancora una volta, il carnefice viene umanizzato e la vittima messa in discussione.
Il giudice ha applicato la legge, e lo ha fatto al massimo consentito. Ma la giuria, secondo me, non ha voluto leggere tra le righe. E questo lascia un senso di schifo che non riesco a ingoiare. È tutto uno schifo. E come dice sempre mio padre, da grande saggio qual è:
“Chi muore giace e chi vive si dà pace.”
Ma io, questa pace, non riesco ancora a trovarla.