DDB 03-10 Facciamo il punto.

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Oggi volevo fare il punto della situazione.
Sono quindici giorni senza social, e devo dire che non ne sento più la mancanza.
Ma questa pausa mi ha fatto riflettere.

Io ero una frequentatrice social, soprattutto per noia.
Quando ero fuori casa, non ci pensavo nemmeno.
Ma quando ero a casa, da sola, tra Facebook e Instagram, il mio uso era quasi automatico…
E lo ammetto: era comunque diventata una dipendenza.

In questi 15 giorni mi sono disintossicata.
Anche se il mio corpo sente ancora quel disagio sottile, ma è più un disagio fisico. Purtroppo il corpo non ha un interruttore che spegne lo stress appena la mente si calma. Le emozioni che ho provato, come rabbia, frustrazione, ansia, lasciano una traccia nel sistema nervoso, nei muscoli, negli organi. Anche se ho fatto un gesto liberatorio cancellando i social, sento che il mio corpo potrebbe ancora “smaltire” quel carico emotivo.

E allora mi chiedo: se per me è stato relativamente difficile, come può riuscirci chi vive i social anche fuori casa?
Vedo adulti, genitori, con bambini accanto…
E l’unica attenzione è rivolta al cellulare.
Un continuo scrollare, nonostante le richieste di attenzioni dei figli.

Mi chiedo davvero:
Come potrebbero smettere, se non si accorgono nemmeno di quanto siano immersi?
Se il tempo online è diventato più reale di quello vissuto?

Ritrovarsi significa anche riconoscere dove ci si è persi. E oggi, molti adulti si perdono davanti a uno schermo, annullandosi lentamente. Non per svago, ma per fuga. Fuga dal corpo che chiede ascolto, dalle emozioni che fanno rumore, dalle relazioni che richiedono presenza. 
Lo schermo diventa una tana, ma non protegge: isola. E mentre si rincorrono notifiche e like, si dimentica il respiro, il silenzio, la profondità. Si dimentica la vita.

Ritrovare sé stessi, allora, è anche spegnere quel rumore. È tornare al corpo, alla musica, alla meditazione, alla verità che non ha bisogno di essere condivisa per esistere. È scegliere di essere presenti, non solo con gli altri, ma con sé. Perché nessun algoritmo potrà mai restituire ciò che si perde quando si smette di abitarsi.