Le mie geografie interiori

 


Là dove la pelle cede, io mi ritrovo

Oggi ho abbassato lo sguardo e ho visto l’interno del mio braccio: le pieghe della pelle fitte, e sotto di esse qualcosa di morbido che le riempie. Al momento ho pensato che non fosse un gran bel vedere, poi riflettendo ho capito che quel pezzo di braccio racconta molto di me.

Trent’anni di obesità hanno tirato quella pelle all’esterno, un po’ come ho fatto io con la vita. Nel momento in cui tutto si sgonfia, quella pelle rimane lì: non è più tesa, quasi cedevole, con un grumo di rimasugli che fanno parte di quella vecchia obesità.

Chiudo gli occhi e passo la mano sul ventre: anche qui la stessa storia, buchi, bozzi, pieghe. Poi tocco le gambe, e l’aspetto è quello che avrebbe la lava quando scende a strati. Anche queste raccontano la loro verità: ciò che ha raggiunto l’estremo, per poi ritirarsi e lasciare le rovine.

Ed ecco che arrivo al viso: quella piega sotto la bocca che rende il mio aspetto triste, gli occhi leggermente incurvati, la palpebra che casca, e una ruga profonda nella fronte che unisce i due occhi.

Eppure io sono qui.
Ho 58 anni, 59 fra due mesi, e sto ricostruendo tutto su quelle vecchie rovine. Non sono brutte: sono ciò che sono stata, ciò che ho vissuto, ciò che ho sperimentato.

La pelle non è più tesa, ma non lo sono più nemmeno io. Lei ha ceduto, e ho ceduto anch’io. I capelli sono passati dal castano al bianco, e io passerò da quella che ero a quella che sono.

Le rovine sono un dono.
La distruzione è la via per la trasformazione.

Elizabet Ghilbert

Traccie nel tempo

La colazione è servita! (Curiosità)

Quando si dice che una virgola ti salva la vita...

Dopo tre mesi torno in Croazia... ultima parte, la conclusione!